Fabrizio Mezzedimi, architetto e assessore all’urbanistica degli anni ’70, inizia il dibattito che abbiamo sollecitato sul Piano Operativo di Siena.
Scrive Mezzedimi:
Certamente il riepilogo del percorso politico ma soprattutto amministrativo del Piano durante gli ultimi anni può risultare utile nel caso si voglia scandagliare a fondo singoli elementi di sicuro interesse come quello della trasparenza e della partecipazione ma, per quanto mi riguarda, il giudizio di fondo non cambia: in un momento storico dominato dal “low profile” culturale, c’è ben poca differenza tra la “pochezza prudente” di un Valentini e il “tunnel viligiardiano” di un De Mossi, per non parlare, tornando indietro, del “porta a porta fatto in casa” di un Cenni/Valacchi.
Ecco, poi, il suo intervento di merito:
.…. credo sia un eufemismo parlare di gravi ritardi in materia se si fa doverosamente riferimento alle giunte precedenti a quella attuale nel lasciare o meglio accantonare del tutto i problemi urbanistici. Solo la grande crisi iniziata nel 2008 ne ha in parte nascosto gli esiti nefasti sull’economia della città.
E’ doveroso, per completare il quadro delle responsabilità politiche sulla attuale totale assenza di qualsivoglia progetto sul futuro del territorio senese, ricordare che, antecedentemente ai due precedenti mandati amministrativi, di cui abbiamo già detto, le basi di indirizzo politico di questa pessima gestione urbanistica della città furono concepite ancora in precedenza , per intendersi cioè durante il tragico decennio di inizio secolo.
Su questo argomento non si è parlato molto nei media del tempo essendo passato in sottordine rispetto al contestuale tracollo del Monte. Ma invece credo varrebbe la pena indagare sulle fortissime connessioni e interconnessioni politiche tra le due vicende, quella della Banca e quella del Comune soprattutto con riferimento proprio alla gestione tecnico-politica dell’urbanistica.
E’ un fatto che praticamente da venti anni il Comune non pone in primo piano, come era sempre successo precedentemente, e direi continuativamente fin dal dopoguerra, il tema della città e del territorio senese alla luce di un vero e proprio progetto urbanistico facendone come merita un vero e proprio evento culturale nazionale e internazionale.
In conclusione per rispondere al quesito circa la “ fretta “ attuale del Comune di portare in Consiglio il Piano Operativo, dico che , tenendo conto della inerzia delle amministrazioni che l’hanno preceduta, l’attuale fa bene a colmare il vuoto delle norme di salvaguardia che costituisce da anni praticamente un blocco paralizzante anche per le sporadiche iniziative imprenditoriali post crisi.
Detto questo devo anche aggiungere che, e con tutta la stima personale e professionale nei riguardi dell’architetto Vezzosi incaricato di coordinare il Piano, siccome il Piano lo fa più la committenza del professionista, ritengo che questo strumento che confesso conosco poco, debba rimanere comunque molto circoscritto nelle prospettive e nelle quantità, nei limiti di uno strumento di mera transizione e strettamente vocato a rimettere in moto la macchina senza porsi, mi raccomando, alcuna ambizione strategica.
Sono venti anni che la politica senese non si pone il problema del futuro della città e del suo territorio e non mi sembra che neanche oggi il Comune, ma direi l’intera classe dirigente della città a prescindere dagli schieramenti partitici, sia in grado di esprimere la consapevolezza e le cognizioni necessarie e sufficienti per lanciare lo sguardo sul futuro di Siena e tracciare un progetto adeguato in tal senso.
Ma è anche vero che, nel frattempo, i problemi tragicamente si accumulano, cadono le certezze di ieri ma anche quelle di oggi, vedi l’uscita di scena della Banca e il crollo improvviso del turismo in atto a causa del Covid 19 di cui non sappiamo ancora valutare la durata e la portata , vedi il crescente “microsovranismo” dei comuni dell’Interland che vedono come il fumo agli occhi, e forse il sentimento è reciproco, qualsiasi tipo di coordinamento sovracomunale con un capoluogo guidato dal centrodestra e dire che questo della cosiddetta “città reale” è , e rimane, da oltre cinquanta anni un elemento imprescindibile per qualsiasi seria programmazione urbanistica della città e del territorio.
In un paese serio di fronte a questa situazione di solito, per quanto riguarda le competenze, si fa ricorso alle “riserve” ma…. non credo che questo si verifichi, mentre rimane costante il fatto che in questa città non si discute, veramente, di urbanistica da circa venti anni e le responsabilità politiche sono sotto gli occhi di tutti.
Mancanza cronica di un “progetto”, fortissime interconnessioni politiche tra le vicende del MPS e la gestione tecnico-politica dell’urbanistica, gravissime responsabilità di un’intera classe dirigente partitica, diffidenza del “microsovranismo” campanilistico verso ogni coordinamento sovracomunale, mancanza totale di dibattito; non sembra che Mezzedimi abbia posto questioni marginali né in numero limitato.
Concordo con cio’ che dice Fabrizio, le sue idee lungimiranti non sono mai state prese in considerazione da una classe politica ottusa che ha sempre governato sul “meno innoviamo” e piu’ ci rivotano.