Storico e studioso di fama, amministratore locale, assessore regionale e parlamentare europeo, archintronato, contradaiolo della Tartuca, è stato anche il sindaco più giovane d’Italia e si è sempre occupato di urbanistica. Il suo parere sul Piano Operativo senese si esprime sui punti principali, ricorda l’idea negletta della Grande Siena e ribadisce con forza che l’urbanistica, per essere tale, non può che essere l’URBANISTICA DELLA CULTURA
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Mi pare che le drammatiche giornate che stiamo vivendo sconsiglino di accelerare la definizione del Piano Operativo ispirato al documento “Una città da ripensare” (gennaio 2019).
Da semplice cittadino non ho seguito con puntualità il cammino che si è fatto fin qui, né sono a conoscenza delle tabelle e delle norme sottoposte all’attenzione dalla preposta Commissione comunale. Già a suo tempo fu presentato un documento critico in materia, sulle cui linee mi trovavo sostanzialmente d’accordo. Alcuni temi cruciali erano sinteticamente enunciati nello stesso documento di presentazione. Ma, a questo punto, ritengo non siano sufficienti e soddisfacenti per ultimare un lavoro decisivo per il futuro della città e del territorio di sua più immediata pertinenza.
Purtroppo l’urbanistica è diventata un insieme di cifre e formule che rende arduo capire esattamente quali siano gli snodi fondamentali e in quale disegno – non uso la parola a caso – si desideri concretizzare. Sottolineo due preoccupazioni su ogni altra.
La prima consiste nell’evidente difficoltà di svolgere un largo confronto analitico com’è necessario a causa del periodo che stiamo soffrendo, certamente non adatto a esaminare con serenità temi tanto importanti.
La seconda preoccupazione consiste nel timore che la nuova strutturazione del PO e i materiali concepiti per definirne gli scopi si risolvano in un allentamento qua e là di norme ritenute restrittive e quindi si rischi di apportare più danni che benefici ad un patrimonio architettonico e ambientale che chiede di essere valorizzato, reso più gestibile e moderno, ma non svilito o genericamente offerto a cuor leggero a investitori privati.
Se si vuol imboccare la via di una ripresa che i danni arrecati dalla pandemia in corso provocano anche nell’economia è doveroso non cedere alla tentazione di scorciatoie di taglio in prevalenza procedurale, enfatizzando l’ iniziativa dei privati e ignorando gli impegni pubblici e sociali da rafforzare alla luce delle trasformazioni e delle riconversioni di grande portata che la grave crisi rende ineludibili. Velocizzare le pratiche va bene, ad esempio, ma non a scapito di rigore e coerenza.
A quel che si intuisce da frequenti insistenze il modello di città – ma smetterei di usare la parola “modello”, che presuppone costanza di elementi e coerenza di potenziali sviluppi – è molto sbilanciato sul turismo ed è proclive ad accogliere iniziative effimere perlopiù importate. Roba che vivacizza senza durevolmente arricchire. Reclamizza senza accrescere conoscenza. Non seleziona flussi propensi a capire e lavorare qui con continuità.
Fermandosi ancora sul turismo, quale suo futuro c’è da aspettarsi o incentivare? Non si tratta di ostracizzarlo con sufficienza, ma ora più che mai è una risorsa da ridimensionare e qualificare, non da erigere a strategica.
E la vitalità abitativa e operosa della città come si potrà incrementare? Senza nuove politiche dei cosiddetti “centri storici” – vedi i richiamati allarmi dell’ANCSA (Associazione Nazionale Centri Storico-Artistici) e del CRESME (Centro Ricerche Economiche Sociologiche Mercato Edilizia) – si rischia di separarli definitivamente dal contesto generale dell’area urbanizzata, che ormai è la “città reale”.
«Con l’emergenza sanitaria in atto, invece – avverte il Centro del quale ignoro la natura–, gli investimenti potrebbero fermarsi a 107 miliardi di euro, cioè 34 miliardi in meno: paragonando i dati con il 2019 (138 miliardi), la caduta è quantificabile in 31 miliardi di euro». Non vorrei che il rimedio si individuasse anche da noi in una riapertura dei cantieri – quali? – per surrogare con il soccorso di un’edilizia vecchio stampo la crisi in atto. Ricetta decrepita che ha già fatto parecchi guasti.
Insomma la discussione della proposta di Piano Operativo (da sottoporre a consultazione) dovrebbe evidenziare le scelte che s’intende perseguire e soprattutto le innovazioni e i progetti che si punta a introdurre per far fronte ad una situazione radicalmente nuova.
Una vigile e attiva partecipazione sarà utile se non si esaurirà nell’ascolto di interessi particolari o corporativi. E poi, come si sa, dalla partecipazione vien fuori tutto e il contrario di tutto. Per un ceto dirigente che guardi con coraggio al futuro il problema sarà scegliere. La trasparenza è un buon requisito, ma procedurale anch’esso. E non vorrei che ci si accapigliasse su quanti metri quadri siano da consentire per l’allargamento o il sezionamento degli edifici, su quali demolire per ricostruirne di gonfiati in prossimità. Su zonizzazioni che frammentino il tessuto anziché renderlo più coeso.
Mi piacerebbe capire su quali idee-forza ora – e domani – si fa affidamento per il rilancio o la ripartenza. Ed è qui che casca l’asino. Occorrono progetti in grado di far ripensare davvero la città, di aggiornare l’obiettivo della Grande Siena di cui è si spesso parlato ed è rimasto sulla carta.
Non elenco temi tante volte evocati. La carte che Siena può giocare sono conosciute. Come fare del patrimonio storico-artistico una struttura portante del nuovo assetto? Il Santa Maria della Scala è votato oramai a diventare un contenitore per mostre e fiere? È accantonata del tutto la prospettiva di farne il centro motore polivalente di un sistema di attività culturali diffuse?
È l’urbanistica della cultura di cui ho scritto più volte.
E ai giovani quali spazi e sostegni offriamo per avviare una nuova imprenditoria? Quali convergenti collaborazioni la città può istituire col vario mondo agroalimentare? Come rafforzare il settore delle scienze della vita, che avrà un gran daffare nei prossimi anni? Non è questa le sede per aggiungere altre voci. Non è in una sommatoria di rotatorie o in accorgimenti per migliorare la mobilità che si preciseranno politiche adeguate alla fase drammatica che stiamo attraversando. Occorre una franca e chiara discussione, che coinvolga tutti, esperti e cittadinanza, al di là di miopi logiche di schieramento.
Visto l’oggetto, per commentare devo partire da un dato incontestabile: i Nove amministrarono Siena per una settantina d’anni (dal 1287 al 1355), ossia più o meno quanto l’ha governata la sedicente sinistra (dal 1946 al 2018). E’ perfino ingeneroso confrontare la città costruita dai Nove e quella costruita dalla pseudo sinistra. Basterebbe dire che nella città tirata su dal dopoguerra, che è doppia o tripla rispetto a quella medievale, non c’è un solo scorcio o manufatto che meriti una sola foto di un solo turista. In tutto quel nuovo ammasso disordinato di edilizia pubblica e privata non una piazza, da sempre vanto e orgoglio della cultura civile italiana, è stata realizzata, e nemmeno un parco. Perfino il fascismo fece meno peggio: basta affacciarsi a est per vedere allineate sul crinale della collina di Ravacciano le case popolari del Ventennio e quelle costruite dal Settantennio “repubblicano” e “democratico”. O basterebbe, per chi non se lo ricordasse, vedere in una vecchia foto cosa fosse Piazza della Stazione, celebrata da più di una pubblicazione accademica, e come invece è stata recentemente devastata. O confrontare il meraviglioso liberty della Camera di Commercio in Piazza della Posta col palazzone da sobborgo sovietico che l’ha sostituito negli anni ’50. O ricordarsi della lunga muraglia almeno cinquecentesca in prossimità di Porta Tufi totalmente abbattuta per far posto a quel mostro urbanistico che è la Facoltà di Giurisprudenza, mostro che un “compagno” architetto ha pensato bene di tirare su tutto in cotto e travertino, in perfetto stile littorio. E vale la pena di sottolineare che quel mostro l’ha voluto l’Università, sì proprio quell’organismo che pretenderebbe di essere il baluardo della conoscenza e della civiltà.
Potrei continuare, ma mi fermo qui, chiudendo con un appello: visto che stiamo trattando di urbanistica (della cultura, poi!), per salvare ciò che è rimasto bisognerà soprattutto essere capaci di impedire che quelle volpi siano nuovamente messe alla guardia del pollaio.
Mauro Aurigi
P.S. Qualche riflessione meriterebbe il fatto che i Nove stavano in carica 60 giorni, chiusi a chiave nel Palazzo con il divieto assoluto di incontri privati (anche con la moglie!), senza possibilità di essere rinominati se non dopo anni (e pensare che il sindaco Cenni al compimento di due mandati di governo (10 anni al potere!) sostenne la necessità di abolire il limite di due consiliature, altrimenti non era possibile portare a termine i programmi e le iniziative! In 10 anni, piccinino, non ce l’aveva fatta.
E voglio levarmi un altro sassolino. Di quei signori Nove, maggiori artefici della stupefacente unicità di Siena, non è giunto a noi il nome di un solo politico, a meno di andare a spulciare la documentazione originale. Ma dei nomi delle “volpi” di cui sopra, hai voglia se resterà nei posteri il ricordo!
Mauro, pienamente d’accordo !
Peccato che c’entri così poco col tema oggetto del dibattito.
Caro wp_10652913, non discuto mai con chi si nasconda dietro uno pseudonimo (cosa che ritengo alquanto maleducata). Mi limito a sottolineare il fatto che sostanzialmente lei sostenga che in tema di urbanistica non si debba tenere conto degli errori del passato. Mi sembra una riflessione molto profonda.
Sotto però c’erano delle osservazioni niente affatto anonime alle quali non ha risposto.
Mi sembra che lei colpevolizzi una classe politica locale, in 78 anni assolutamente discontinua nei nomi e nelle modalità di azione, per problemi urbanistici di valenza nazionale. L’architettura urbana italiana del dopoguerra ha risentito delle tematiche sviluppate da grandi architetti, uno per tutti Le Corbusier, con concetti come pianta e facciata libera che, messi in pratica da piccoli progettisti, hanno finito per stravolgere l’aspetto delle nostre città con costruzioni oggettivamente di qualità scadente. In aggiunta a questo si è sovrapposta la fuga dai centri storici in cerca di salubrità e comfort moderni, che ha completato la frittata. A mio parere Siena in realtà è stata una delle poche città in cui questi processi non hanno finito per stravolgere l’aspetto della città, quindi il suo additarla come epicentro di uno scempio lo trovo assolutamente fuori luogo. Certo le costruzioni moderne sono per lo più bruttine e prive di qualità, ma almeno sono decorosamente integrate nel territorio grazie anche alla conformazione collinare. Le dirò di più, per me la facoltà di giurisprudenza dello studio Natalini è proprio bella e molto ben integrata, per cui trovo incomprensibile il suo additarla come esempio negativo.
Comunque se ho ben capito, proprio perché nel 2018 è crollato il muro, dovremmo cercare delle linee di sviluppo della città partecipate, con scelte improntate a coerenza architettonica, protezione del passato di qualità e miglioramento di quanto di brutto è stato costruito negli ultimi decenni. Il suo atteggiamento al riguardo mi pare poco adatto. Dopo due anni potremmo cominciare ad abbandonare il revanscismo e ad andare avanti.
Appunto. Può servire a passare il tempo ed essere o non essere condivisa, ma nulla aggiunge alla tematica proposta
Ho riletto con calma ed almeno un paio di volte i commenti fatti a tema “Piano Operativo” e sinceramente mi ritengo confuso…
Concordo con la maggior parte delle osservazioni e pur non essendo del “mestiere”, ritengo opportuno focalizzare l’attenzione su due temi essenziali:
— Cosa ci aspetterà una volta superato il “problema” COVID-19, che mondo troveremo e soprattutto che mondo troveranno i giovani…? Ricordiamoci che il problema sarà ben più grave che mettersi una mascherina o “lavarsi le mani” (riferendosi anche metaforicamente al famoso “Ponzio Pilato”). Dinamiche totalmente nuove che gioco forza influiranno anche sulla vita di ogni giorno e così anche un piano urbanistico che si rispetti dovrà fare i conti con tutto ciò. Ipotizzando che la città si trovi in condizioni non adatte e di non competitività, la popolazione cittadina muterà modus vivendi e con esso dinamiche che saranno difficili da prevedere. Turismo diffuso e non di massa, ritorno all’agricoltura e allevamento, ripresa dell’artigianato, proposta competitiva generale… saranno temi da affrontare. Non illudiamoci che il terziario che la nostra città può mettere sul piatto in abbondanza, riesca a sostenerla perché non sarà così.
— Pianificazione, distribuzione e ottimizzazione delle risorse umane, tecniche, scientifiche, artistiche, culturali, economiche, storiche, sportive sia da un punto di vista di sviluppo, che da un punto di vista pensato per gli anni a venire su di una dimensione di 15–20 anni. Sarà difficilissimo indovinare la ricetta, ma se si vorrà essere un polo importante per la nuova società dovremo necessariamente ripensare a qualcosa di nuovo in termini di società, di mobilità, di urbanistica e di opportunità e non a ritocchi, toppe o fantasiose soluzioni che lasciano e lasceranno il tempo che trovano se non addirittura potranno minare l’aspetto della città stessa.
Da cittadino interessato ho voluto dire la mia e capisco che le mie osservazioni potranno aver suscitato il sorriso, ma alzo il dito e lo punto in un punto non precisato del cielo… Ricordiamoci che siamo tutti sotto di esso e che, come ci ha dimostrato proprio il COVID-19, sono inutili voli pindarici e puramente d’effetto, il cielo ci insegna che se vorremo vivere al meglio la nostra città la DOVREMO, tutti insieme, ripensare per un mondo completamente diverso che fino ad oggi non avremmo minimamente potuto immaginare.
Cerchiamo di sfruttare quanto accade e quanto accaduto, per evitare decisioni anacronistiche ed incongruenti e che non tengono conto di quanto sta succedendo, RICORDIAMOCI che la storia dal Primo Gennaio 2020 è cambiata…!!! Il Mondo, la Società, l’Economia, perfino la Storia sono cambiate e cambieranno ancora e gioco forza ci sarà un prima ed un dopo di quello che ricorderemo come “L’Anno del Contagio”.
Un saluto cordiale.