Francesco (Franz) Fasano è un insegnante impegnato nella cittadinanza attiva e cofondatore di Ideeincomune: si è riletto per noi i documenti del Piano e ci espone puntuali considerazioni
FORMA E SOSTANZA DELLA PIANIFICAZIONE URBANISTICA
1 — Forma: chi partecipa
La pianificazione di un territorio è onere ed onore per una amministrazione locale, in tutte le sue articolazioni funzionali. Come una sorta di navigazione con mappa ed astrolabio, il pianificatore deve decidere la destinazione e segnare la rotta. Non vorrei però che sul termine “pianificatore” sorgessero incomprensioni. Non può essere “qualcuno” che detta e decide ma, in democrazia, va intesa come una figura (o meglio ancora una squadra) che, studiate le prerogative di un’area, di un territorio, delle sue debolezze e delle sue leve forti, degli auspici, dei rischi e delle intenzioni/aspirazioni della popolazione, produca una sintesi consapevole e con solide basi per permettere, in sede applicativa, di seguire un preciso percorso.
Il “chi” deve agire comprende dunque un insieme di soggetti, in primis il Comune supportato dagli altri enti (soprattutto la Regione) oltre ai portatori di interessi del territorio. Inoltre, la Legge Regionale 65/2014, all’articolo 8 comma 5, riporta testualmente: “I soggetti pubblici e privati nonché i cittadini singoli o associati partecipano alla formazione degli atti di governo del territorio secondo le disposizioni della presente legge.”. Par dunque oltremodo chiaro il concetto della partecipazione. Vorrei sottolineare il carattere “attivo” del concetto, da distinguere dalla semplice informazione da parte dell’attore principale, il Comune. Io cittadino voglio prendere parte al processo di costruzione della pianificazione strategica prima, ed operativa poi, del mio territorio; e la legge non solo me lo consente, ma mi spinge e mi stimola a farlo con un intero Capo, il V.
2 — Forma: il corretto percorso
Ma cosa devono fare i vari soggetti, e che cosa devono fare i cittadini? Al livello comunale, lo strumento conoscitivo e strategico è il Piano Strutturale. Si legge nella legge che questo deve contenere “l’insieme delle analisi necessarie a qualificare lo statuto del territorio e a supportare la strategia dello sviluppo sostenibile”. In sintesi, conoscere il contesto e decidere la strategia. Solo allora interverrà il successivo passaggio in cui “in conformità al piano strutturale, il piano operativo disciplina l’attività urbanistica ed edilizia per l’intero territorio comunale”. Viene dunque immediato il passaggio logico: prima si definisce un Piano Strutturale e poi lo si rende “operativo” con la successiva pianificazione attuativa. Proceduralmente e concettualmente decidere l’attuazione senza la definizione strategica è un assurdo dal punto di vista logico e abnorme rispetto alla legge.
A suo tempo ho avanzato critiche anche all’amministrazione Valentini, che aveva imboccato la strada della pianificazione in maniera frettolosa ed ottimistica, prospettando percorsi al fulmicotone per processi partecipativi, adozioni ed approvazioni, rispettando sul fil di lana i minimi formali normativi e confondendo sempre la corretta sequenza Piano Strutturale – Piano Operativo, ma l’attuale amministrazione sta facendo di peggio.
Si legge infatti, dalle pagine online del Comune di Siena, un Documento Politico – Programmatico (Allegato alla deliberazione del Consiglio Comunale n. 7 del 30/01/2019) che contiene un sostanziale stralcio delle precedenti impostazioni, ed una revisione complessiva delle linee guida, sulle quali tornerò a breve.
Nel documento stesso si legge in particolare che
“Il nuovo atteggiamento, che sottende ad una diversa visione della Città e del Territorio, deve innanzitutto dimostrare di essere in grado di mettere in discussione e scardinare quelle scelte e quei luoghi comuni che fino ad oggi hanno condizionato ed indirizzato la linea politico-urbanistica dettata dal Piano Strutturale e dal Regolamento Urbanistico. La strumentazione urbanistica vigente fa riferimento evidentemente ad un quadro socio-economico alquanto diverso da quello che si sta evidenziando oggi e si deve anche sottolineare che già in origine non brillava per creatività e per una lettura ed interpretazione prospettica del territorio che mirassero ad una reale incentivazione dello sviluppo e dell’occupazione.”
Dunque la nuova amministrazione manifesta l’intenzione di stravolgere nella sostanza quanto fatto fino ad adesso ma senza prospettare il relativo sviluppo tramite partecipazione attiva dei cittadini nello strutturare la nuova visione.
Non solo. Si argomenta, nello stesso Documento Politico – Programmatico, l’intenzione di articolare un ripensamento netto della città, intenzione che – così posta e in astratto – potrebbe presentare aspetti positivi di cambiamento.
Queste premesse, valide almeno nella pulsione innovatrice, devono prevedere una partecipazione cittadina ampia ed attiva, piena, intensa, avvolgente e matura. Se “il nuovo Piano Operativo deve ricostituire una nuova visione comune politico-culturale” io voglio partecipare alla sua ricostruzione! E se deve essere progettato “per guidare e agevolare processi economici” tutte le associazioni di commercio, artigianato, volontariato, ordini professionali, contrade eccetera devono partecipare in prima persona ad un cammino comunitario!
Altrimenti si corre il rischio, come nel Documento Politico – Programmatico stesso si adombra, di creare un progetto “figlio timoroso delle procedure”(sic!). Ebbene, poiché su qualsiasi dizionario, si trova, tra i contrari di timoroso, gli aggettivi sfacciato, sfrontato, spudorato, strafottente, cercherei di evitare il rischio che proprio le “procedure” di pianificazione della mia città potessero essere in tal modo identificate.
Se la partecipazione sui piani urbanistici — già avviata dall’amministrazione Valentini — è stata minimalista, qui e adesso si pretende di portare avanti una linea di condotta esasperata e sostanzialmente stravolta senza ripercorrere l’iter partecipativo ? Sembra proprio così, perché, da quanto si apprende, il nuovo Piano Operativo è stato approvato dalla Giunta ed è in procinto di essere portato in votazione al Consiglio Comunale. E sì, forse questo è proprio un processo “sfacciato, sfrontato, strafottente” nei riguardi della cittadinanza e pure di quel buon senso che vorrebbe guidare passi così importanti.
3. — Sostanza: l’uso di nuovo suolo e le nuove opere
Veniamo adesso ad alcune considerazioni sulla sostanza del procedimento. Le affermazioni di slancio economico, riqualificazione, recupero e sviluppo strappano facili applausi, almeno fin quando rimangono sul generico. Altre invece lasciano alquanto perplessi. Una in particolare: l’uso di (nuovo) suolo. Non si fa mistero, nel Documento Politico – Programmatico, della
volontà di rivedere il tema del contenimento del consumo di nuovo suolo, da affiancare al recupero dell’esistente, condito qua e là con la parola “sostenibilità” alla quale sono sempre affiancate le specificazioni di “economica e finanziaria”, dimenticando che la sostenibilità parte dall’ambientale e dal sociale. Il consumo di suolo è una delle scelte meno sostenibili e più incaute che una amministrazione possa compiere: dissesto idrogeologico, bilancio dei gas climalteranti, protezione dei versanti, tutela del suolo come sistema complesso sono solo alcune delle voci che consigliano caldamente di riservare lo strumento della distruzione del suolo come ultima scelta ed in misura fortemente contingentata esclusivamente quando i benefici per la collettività siano macro-scopicamente palesi.
Il consumo di nuovo suolo come incipit di rilievo riporta alla mente i nostalgici tempi del cemento facile, della speculazione edilizia e dell’ipertrofia urbana, epoche che ritengo necessario dover tenere nel cassetto dei ricordi, ingiustificabili oggi in un contesto di crescita demografica zero.
Invece ci sono molti edifici, e aree, da “recuperare”: per farli diventare cosa? E come inserirli in un ambito cittadino? A quale destinazione complessiva fare riferimento? Insomma, se prima non si stabiliscono quali motori di sviluppo si intendono alimentare, parlare di strumenti come riqualificazione o nuovo consumo di suolo rimane una questione di lana caprina, buona solo a nutrire sospetti di appetiti mal celati e di italiche furbizie. Una fantasia degna di Cetto Laqualunque ha scaturito cenni a soluzioni più precise, come la galleria che dal Tiro a Segno di Pescaia dovrebbe raggiungere la zona di Viale Sclavo, a doppio senso di circolazione e con un binario su sede propria: un’opera ciclopica, dal costo sicuramente spropositato, che agevoli il traffico sull’asse Nord Sud sarebbe un caso didattico e paradigmatico di applicazione del Paradosso di Braess (1) . Non sarebbe meglio spendere quei soldi (che, peraltro, non ci sono) per stimolare altre forme di mobilità magari veramente sostenibile ?
4 — Sostanza: i grandi assenti
A parte il fatto che la visione sembra riportata con genericità da diluizione omeopatica, vorrei evidenziare alcuni grandi assenti tra gli incipit del Documento Politico – Programmatico.
Avrebbe a mio avviso meritato un capitolo intero il tema della sostenibilità (2) . L’attuale sistema di sviluppo globale si è dimostrato non sostenibile, con tantissime forme, tutte comprensive a più livelli dei tre elementi, ambientale, sociale ed economico. Ogni percorso va strutturato nelle componenti di economia circolare, utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, minimizzazione della produzione di rifiuti, ottimizzazione dello sfruttamento degli spazi e degli ambienti, salvaguardia dei beni comuni, protezione delle fasce deboli, sostegno all’imprenditoria sana ed etica ed altre mille voci che varrebbe la pena di approfondire.
Il tema della sostenibilità è un tema globale e la globalizzazione è un processo a cui non possiamo sottrarci. Respingere questo corso farebbe correre il rischio di una chiusura autarchica, autoreferenziale, miope, fatale. La globalizzazione va gestita, ognuno alla propria scala.
5 — Sostanza. La Grande Siena.
E questo non deve significare omogeneizzazione o normalizzazione, processi di appiattimento che un territorio come quello senese deve respingere ed ostacolare con vigore. Anzi, Siena ed il suo territorio devono, con forza, difendere e proteggere le proprie peculiarità, la propria storia, tradizioni, cultura, stile di vita. Illuso è chi crede che una chiusura dentro la mura potrebbe garantire tale protezione. La soluzione va invece guidata verso una ricerca di un percorso corretto nel vasto mare della globalizzazione, gestendo processi interni di consolidamento, generando attrattività verso le peculiarità e non andando brutalmente a scontrarsi su un terreno ostile e letale come quello della rincorsa al mercato standardizzato (i grossi outlet, le catene commerciali tutte uguali a se stesse, la normalizzazione della proposta penosamente omogenea .
Per governare al meglio la globalizzazione sarebbe però indispensabile accrescere il proprio peso territoriale e demografico e non presentarsi più come il minuscolo francobollo da 50.000 abitanti, ma come territorio ampio, coeso, organizzato. E’ indispensabile che Siena si offra sul tavolo globale come territorio, rivedendo ed attuando quella visione di città allargata già proposta nel passato e sempre infranta sull’egoismo degli orticelli di potere. Se poi non si vuole proprio pensare ad una aggregazione territoriale formale, sarebbe già qualcosa procedere con lo strumento del Piano Strutturale Intercomunale, previsto dalla normativa regione (e oggi adottato in Toscana per più del 40% del territorio) , che permetterebbe di concertare i temi essenziali ed i lineamenti di sviluppo lasciando al contempo libero ogni singolo comune di procedere all’attuazione indipendente nel successivo Piano Operativo.
La soluzione di coordinamento ampliato darebbe numerosi benefici, a partire dal peso demografico da presentare ad ogni tavolo, progetto, richiesta di finanziamento. Basti pensare ai bandi europei da sempre premianti nei riguardi delle cordate ed altrettanto impietosi verso le realtà meno significative. “Qui si fa la Grande Siena o si muore” verrebbe da dire parafrasando una famosa esternazione storica.
6 — Sostanza. La “città intelligente”.
La realizzazione di un processo di realtà sovracittadina sarebbe un primo passo verso una gestione “intelligente” del territorio e delle proprie risorse e sarebbe una prima seria attuazione di smart city. Il tanto dibattuto termine, di mutuazione anglosassone, che significa “città intelligente”, vuol dire mettere in relazione le infrastrutture materiali delle città con il capitale umano, intellettuale e sociale di chi le abita in un contesto di innovazione, inclusività, risparmio energetico, sostenibilità, ottimizzazione delle soluzioni per la mobilità e la sicurezza ed è direttamente proporzionale alla qualità della partecipazione attiva dei suoi cittadini.
Il progetto di partecipazione sulla traccia di città intelligente che aveva preso vita, vivacemente, in seno alla precedente amministrazione, sembra completamente scomparso dai radar della nuova amministrazione, non essendo nemmeno citato per sbaglio nel Documento Politico – Programmatico. A mio avviso si tratta di una mossa retrograda, a fronte delle numerose e documentate manifestazioni globali di capacità di sviluppo e resilienza delle città che applicano questi principi. Basti pensare alla reazione secondo i principi di “città intelligente” che è stata data durante l’attuale pandemia.
7 — In sintesi
In sintesi, a mio avviso, l’amministrazione sta percorrendo una pianificazione pericolosa ed errata sia nella forma che nella sostanza. Per la forma:
- la partecipazione attiva cittadina ne esce esautorata
— si approva un piano con carattere attuativo senza aver stabilito la strategia generale
Per la sostanza:
- si promuove esplicitamente la possibilità di uso di nuovo suolo
— si deprime il concetto di sostenibilità
— si dimentica l’importanza della coagulazione territoriale
— si azzera l’importanza della città intelligente
Un’analisi molto interessante, chiara e istruttiva. Tutti i cittadini senesi dovrebbero poterla leggere per comprendere lo stato delle cose e l’indispensabile esercizio del loro ruolo di cittadini attivi.
Senza conoscenza, senza informazione e senza una successiva elaborazione le opinioni di ciascuno di noi sono zoppe, con fondamenta fragili, ma poi, inevitabilmente, è sulla base delle nostre opinioni che esprimiamo il nostro giudizio politico.
Quattro gli aspetti che voglio riprendere:
1) il rispetto delle leggi. In una repubblica democratica è imprescindibile. Le norme non sono burocrazia ma argine ai privilegi dei pochi rispetto ai diritti di tutti. Argine alla deriva, corruttiva e mafiosa, di chi si vende e di chi compra consenso.
2) Il consumo di suolo e la sostenibilità, compresa quella di carattere sociale. Mi auguro che la stragrande maggioranza dei cittadini sia consapevole dell’assoluta rilevanza di questi aspetti per la salvaguardia ambientale, correlata alla sopravvivenza del pianeta Terra, alla pace sociale e alla dignità dell’essere umano. Non ci scordiamo però che questo Consiglio comunale, per sole motivazioni faziose (mi auguro!), ha rigettato la proposta di Siena Plastic Free con argomentazioni imbarazzanti. Tant’è che anche le Contrade, con le loro Società, hanno superato la posizione del Comune, bandendo, tutte insieme, l’uso della plastica.
3) La Città Intelligente — Smart City. È un tema che è stato di primo piano sulla scena politica cittadina nelle elezioni comunali del 2013 per merito di Enrico Tucci, che all’epoca ho sostenuto con convinzione. Ora che Tucci è in maggioranza spero, per tutti noi Senesi, che abbia la forza di spingere sui valori e sulle idee di Città che ha fortemente sostenuto da candidato a sindaco.
4) Le ipotesi, concrete, per realizzare la Grande Siena. Negli interventi precedenti sull’assetto urbanistico cittadino (da Barzanti, a Piccini, ai Mazzini) nessuno aveva indicato le modalità organizzative a cui stesse pensando per concretizzare le soluzioni proposte. Invece in questo articolo trovo finalmente indicate due strade con i relativi strumenti (Piano Strutturale Intercomunale).
Infine vorrei riportare parte di una ricostruzione della storia urbanistica della nostra Città:
“Ranuccio Bianchi Bandinelli e Mario Bracci avevano lanciato l’allarme fin dal 1953, facendo presenti i pericoli dell’espansione dell’edilizia, dovuta a una speculazione che non aveva alcun rispetto per la città, e che non considerava in alcun modo il problema del traffico urbano.
A seguito del loro intervento e del tentativo di edificare la valle delle fonti di Follonica, nel 1956 fu affidato l’incarico di redigere il piano regolatore comunale a Luigi Piccinato, urbanista noto a livello internazionale, insieme Piero Bottoni di Milano e Aldo Luchini di Siena.”
Furono vietate nuove edificazioni nel centro storico e, dopo, realizzata la chiusura al traffico dello stesso: due idee geniali di Città che avevano riportato Siena all’avanguardia nel progettare in senso comunitario e di salvaguardia.
Poi, l’incapacità politica di arginare lo spopolamento del centro storico, la bruttezza delle edificazioni della periferia Nord, lo stravolgimento del Piano Secchi, a causa dell’accoglimento “poco razionale” delle relative osservazioni pervenute e dell’eccessivo indirizzo verso centri commerciali esterni alla cinta muraria, gli ecomostri della giunta Cenni (stravolgimento progetto della stazione, cementificazione selvaggia di colonna San Marco, progetto, fortunatamente abortito, della Cittadella dello sport a Isola d’arbia, folle idea mussariana di un aeroporto internazionale ad Ampugnano, cementificazioni varie contenute, o concesse, nello strumento urbanistico approvato all’ultimo minuto del suo secondo mandato ..)
Per immaginare e realizzare grandi soluzioni comunitarie ci vogliono grandi menti, aperte all’ascolto e non interessate a miseri interessi particolari, capaci di fare sintesi politica nell’interesse dell’intera cittadinanza, al cui servizio hanno deciso di operare.
Quando avremo questa congiuntura Siena potrà sperare di riprendere un cammino, interrotto da troppo tempo, ripensando alla sua essenza socio-culturale, incastonata nel mondo contemporaneo: una visione di Città.