Una mostra dei disegni di Augusto Mazzini QUANTA CARTA — UNA VITA DI SEGNIi è stata allestita nel Museo della Contrada della Tartuca e resterà aperta fino al 7 gennaio 2024
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nel presentarla Roberto Barzanti rievoca pezzi di storia della città.
“Parlare di una Contrada a Siena è come parlare della città, di una città, della nostra città. E formulare un indirizzo augurale rivolto al contradaiolo Augusto Mazzini spinge a trattare di scorcio temi che coinvolgono il territorio della Contrada e i problemi della città di cui è parte integrante.
Una volta mi azzardai a dire che Siena è fatta di diciassette città e Augusto .… mi rimproverò perché una Contrada, disse, è parte di un tutto che vi si riflette da un’angolazione particolare: guai a separare i due spazi, a frantumare un’unità organica!
Augusto è tra quanti hanno guardato e guardano Siena aiutando a leggerne forme e mutamenti come si trattasse di una persona, di un corpo da non ferire o mutilare. La mia è oggi la testimonianza di un amico coetaneo, ma mi terrò lontano da toni patetici e bozzettistici aneddoti. Considero Augusto per quello che ha fatto e fa, simultaneamente, in Siena e per la Tartuca. Luoghi non certo secondari nella sua vita.
Il capolavoro di Augusto è consistito nel far entrare le idee e l’esperienza del Movimento Moderno in una città che ha sempre avuto ritegno o scetticismo nel costruire un rapporto autentico con la Modernità: Siena è stata una città che (giustamente ), quando ha pensato al futuro, non ha mai dimenticato di guardare indietro. Un po’ come l’Angelus Novus amato da Walter Benjamin, che vola volgendo il volto e lo sguardo indietro: è l’angelo della storia. Non dimentica la memoria del passato ma vuol volare alto e deve farsi trascinare da un vento inarrestabile verso il domani.
Rammenterò qualche momento di un volo più volte interrotto.
Augusto è stato il primo assessore all’urbanistica – in tutto per quattro anni – del Comune di Siena. E val la pena elencare le questioni strategiche sulle quali si è più appassionatamente impegnato: il primo più ricorrente all’esordio era la pianificazione democratica, come si diceva allora, e la necessaria dimensione intercomunale da conseguire per governare la complessità di una “Grande Siena”. Ebbe l’ardire di proporre la fusione di Siena, Sovicille e Monteriggioni in un solo Comune. La decisione formale fu una più meditata richiesta al Ministero di redigere un Piano che, oltre al capoluogo, Sovicille e Monteriggioni, coinvolgesse Castellina, Monteroni e Asciano. Fin d’allora era chiaro che l’inurbamento, verificatosi a seguito della crisi della mezzadria, avrebbe dovuto far considerare Siena in una mappa più ampia dei suoi confini tradizionali. Solo così sarebbero stati osservati i vincoli e distribuiti i pesi con un minimo di seria ragionevolezza e di ariosa funzionalità.
Il Piano Regolatore diretto da Luigi Piccinato evidenziò subito debolezze di previsione. Nel 1973 si portò all’attenzione del consiglio un Piano intercomunale che precisava ulteriormente indirizzi condivisi e norme conseguenti. Rimase lettera morta, anche se Fabrizio Mezzedimi, assessore combattivo, ne fece un quadro di orientamento, malvisto ahimè e mai assunto a guida.
L’iniziativa più famosa, che ebbe in Augusto Mazzini uno dei più convinti propugnatori, fu un atto sacrosanto di tutela: la chiusura del centro storico al traffico veicolare privato per dare ai residenti e ai visitatori il piacere di godersi Siena nel silenzio e con la curiosità insaziabile di un flâneur a zonzo.
Di Augusto fu pure l’idea di far progettare ad Alvar Aalto un Palazzo della Cultura che svettasse dalla Fortezza in dialogo, da lontano, con l’Acropoli del Duomo.
Non se ne fece di nulla. Forse è stata l’occasione più importante persa per pigrizia e prudenze infondate.
Augusto ci ha insegnato a pensare in grande non tralasciando il senso del dettaglio. La sistemazione di un marciapiede o la scelta del colore per l’intonaco di un edificio possono avere un identico valore nel facilitare o no i movimenti o abbellire o no avvedutamente una città disarmonica e compatta.
Infine desidero sottolineare quanto sia stato costante in Augusto situare Siena in un sistema di relazioni internazionali, e oggi tanto più in una scala europea. Spirito comunitario e apertura globale non sono scelte opposte. Quando Giancarlo De Carlo lasciò Siena per ricondurre il suo ILAUD (Internazionale Laboratory of Architecture and Urban Design), attivo da noi dal 1982 al 1991, Augusto ebbe parole commosse di addio. In fondo era rimasto molto legato ai principi appresi negli anni della frequentazione universitaria, alle impostazioni di maestri della Facoltà fiorentina quali Detti e Quaroni.
“La scelta di Giancarlo – dichiarò in un’intervista (“La Voce del Campo”, 25 settembre 1991) ha il sapore di un abbandono. Siena, comunque sia, perde una scaglia preziosa per la formazione e il mantenimento di una popolazione temporanea di cui ha assoluto bisogno per tenere legami con l’esterno ed anche per orientare il turismo (la sua economia e la sua cultura) verso obiettivi di qualificazione”.
La sua adesione al razionalismo del Movimento Moderno e al mitico Le Corbusier non è stata mai disgiunta dalla volontà di attribuire ad una costruzione o ad un piano segni tipici del luogo in cui nasce, magari allusivi o accennati, ma tali da sottrarre l’operazione ai dettami di un neutro funzionalismo.
Quanto all’estro di artista eclettico e di disegnatore inesauribile – il titolo della mostra che invade la sale del nostro museo è eloquente: “Quanta carta. Una vita di-segni” – Augusto si è espresso e si esprime sia nei rapidi schizzi che nelle vedute carpite al volo, nei manifesti e nei lirici appunti intimi, nella pubblicità scherzosa o nel ritratto, con una fantastica capacità mimetica, da prestidigitatore del pennarello. Echi si avvertono qua e là di Giuseppe Scalarini e di Le Corbusier , di Saul Steinberg (“L’arte di vivere” del 1953 è stato un suo livre de chevet) e di David Hockney, Ben Shahn, Henri Matisse, Georges Braque.
Spesso Augusto se n’esce in massime severe e inappuntabili.
“L’arte deve essere comprensibile” scrisse su “Il Diogene” del nostro Liceo classico. “L’estetica urbana ha a che vedere con l’etica” sbottò lapidario su “La Voce del Campo” (13 aprile 1995).
Non dico della tenacia degli affetti di Augusto che ti racconta sempre della sua famiglia, della regale Lucia, di Giovanni e Paolo, e del babbo Giovanni, di mamma Corinna che era una parente di Arturo Martini.
Fu partecipe di una goliardia civile e giacobina, autore di un numero unico che fece scuola: “Il rovescio”. La Contrada ha per lui la forza di una piccola patria. Tutte le figure e i sentimenti che suscitano del resto hanno un luogo-fulcro. Una proposta vincente è stata quella di festeggiare la vittoria del Palio non con splendidi addobbi, ma riassaporando, alla vigilia dell’ufficialità retorica, l’atmosfera del rione, convinto com’è che il futuro abbia il battito di un cuore antico. È stata una formula variamente imitata. Quando decisi di affidare ad artisti non solo di radice prevalentemente senese la pittura dei drappelloni palieschi e si cominciò con Mino Maccari, cui seguirono Renato Guttuso e una catena davvero meravigliosa di autori, Augusto fu un insostituibile compagno di viaggio.
Il suo umorismo è dolceamaro. Commentando un disegno di Emilio Giannelli lo immaginò prima di averlo veduto e ci mise del suo nell’anticipata descrizione (“ La Voce del Campo”, 12 gennaio 1995):
“Avrà disegnato – confidò – un vignettone a veduta. E allora come nei suoi panoptikon ci sarà senz’altro tutto: la città con i suoi monumenti familiarizzanti, le case piccine coi tetti di tegole rosse, le finestre aperte su interni in cui si nafanta, il gatto sul davanzale, il cantero del piscio che si rovescia sui briachi giù nelle strada”.
Scorrendo “Il dito nell’occhio”, una rubrica che teneva con continuità, mi son reso conto di quanto ci abbia finora donato con la sua interpretazione innamorata della città. Quante sconfitte! Quante osservazioni minime! Quasi la città fosse una casa. Si va dalla rammentata “rivoluzione dei marciapiedi” al trasferimento della Pinacoteca nel Santa Maria, sogno inseguito invano. Forse quel gruppetto di giovani turchi cui Augusto apparteneva , senza volerlo esplicitamente, rilanciavano le idee grandiose di un’aristocrazia intellettuale al tramonto. Malviste o rispettate per ossequio da forze politiche rivoluzionarie a parole e fin troppo moderate nei comportamenti e nelle alleanze. Penso al ruolo di Fabio Bargagli Petrucci, Ranuccio Bianchi Bandinelli e Cesare Brandi per fare i primi nomi che vengono alla mente.
Ecco qualche schedina, tra le molte accumulate, che attesta il temperamento di Augusto e il suo acuto sguardo:
“Nel centro storico le insegne sono banali, ma almeno non sporgono dalle facciate: sono piuttosto, a schizzare fuori gli orribili interni dei negozi, tanto abbaglianti di luci inutilmente profuse, quanto marcatamente provinciali, per lo più, per l’arredo interno e il livello e la scelta dei prodotti esposti … fortunatamente, sull’ultimo numero di “Domus”, Omar Calabrese ci informa ancora una volta indirettamente, che a Siena (“sì, Siena, Italia”) si sta facendo un controllo e si fa strada l’ipotesi di creare una commissione per l ‘estetica della città’ ” (“Lo zoccolo duro”).
Un’altra :
“Otto anni fa la Camera di Commercio (che non aveva una lira), il Monte dei Paschi di Siena (che non aveva idee chiare) con il consenso dell’amministrazione comunale (come ad intendere che: si facesse pure, tanto …) dettero il via ad un concorso internazionale ad inviti da cui uscì vincitore, dopo la seconda fase, il progetto di Boighas, Martorell, Mackay. Il concorso era sbagliato in partenza perché isolava dal suo ambito di relazioni urbane un’area (poco più che piazza Matteotti) in sé incapace di dare ordine e soluzioni ai problemi urbanistici che vi confluivano”. (“Italian style”).
Questa è l’uscita più dura:
“Sono in molti ad aver goduto del privilegio di piazzare una loro casetta sui crinali del mare collinoso che si estende a perdita d’occhio a sud di Siena, in quello spicchio che divergendo dalla città prelude alla Val d’Arbia e alle Crete. L’urbanizzazione à pois che è risultata da questo svillettamento, come lo chiamava Edoardo Detti – perciò fenomeno toscano e non solo senese – è decollata poco dopo il forte inurbamento degli anni Cinquanta e si è estesa negli anni ’60 grazie alla permissività dei vincoli della zona cosiddetta rurale. Fenomeno tanto preoccupante dal punto di vista della tutela del paesaggio e di una corretta politica insediativa che la giunta Barzanti, pur tra notevoli contrasti, ridusse drasticamente gli indici di fabbricabilità (“La villa del mi’ genero”).
Sul destino dell’Università Mazzini si è soffermato più volte:
“Una città universitaria, dal richiamo turistico persino eccessivo, e di un prestigio culturale al di sopra dei sui meriti, dovrebbe possedere almeno un luogo che fosse insieme caffè, punto di incontri casuali e birreria.” (“Libro e caffè”).
Ricordo, chiudendo, il bellissimo fascicolo “Playnoi” ( celebrativo della vittoria del Palio nel 1972) e “Cartacanta” (1967): per la copertina Augusto si ispirò al disco dei Beatles, all’allegra banda Sergent Pepper’s Lonely Hearts. Con la sezione “L’arte di sopravvivere “ Augusto raggiuse l’acme del suo immaginario malinconico, ma non rassegnato. I fantini con i loro giubbetti colorati incarnano il simbolo di una speranza che non muore in una città che ha perso la sua dimensione ed emana tremori da spaesamento:
- il fantino dell’Istrice è la prima vignetta: si avvia verso il Campo su un gelido tram dell’AMAS (azienda ora scomparsa)
- quello del Leocorno non si vede neppure e la piazzetta in ombra di San Giovannino è una reclusorio che separa della verde valle che si apre a ventaglio appena sotto
- nel Bruco il fantino sta nazzicando per rimettere a posto un travicello del soffitto
- nel Drago è imprigionato da un ammasso di auto in parcheggio
- il fantino della Lupa arranca da alpino
- quello del Montone s’inerpica claudicante per la scala che costeggia il convento
- il fantino della Selva assiste un malato al Santa Maria. ancora Ospedale.
- Quello dell’Aquila è schiacciato, asfaltato contro un muro
- nell’Oca ha un’aria brigantesca e un coltello da sgrascino
- il fantino che indossa il giubbetto della Civetta è imprigionato in un cortile senza uscita, afflitto e solitario
- infine la Chiocciola. La città è grigia sullo sfondo, la strada a sterro è tortuosa. Lui cavalca una Vespa arrancando allo stremo in una periferia senza presenza umana. L’avranno picchiato? Sarà in fuga?
Anche in questo vignetta ultima brillano, a consolazione, i colori della Contrada. Un’araldica che alimenta inesauste speranze: la continuità, malgrado tutto, di una complicata e strana storia, che soccorre e ci aiuta a vivere. A sopravvivere.”
(Roberto Barzanti — 8 dicembre 2023)
Ci sarebbe tanto materiale da commentare perché gli articoli di Roberto Barzanti ed il pensiero scritto e disegnato di Augusto Mazzini non sono mai banali.
Ma il naufragio in cui annaspa l’attuale Siena come si spiega, di fronte a tanta intelligenza che ha avvolto la nostra città come il manto protettore della Madonna ?
Un piccolo esempio(che poi tanto piccolo non mi sembra):città più o meno simili a Siena negli 50–60 come Arezzo e Grosseto(ma senza le nostre spropositate disponibilità…) oggi hanno una popolazione residente circa doppia.E quella senese sembra in continua decrescita!Ci sarà un perché.
Tutta colpa del destino cinico e baro che forse non tiene conto di quanto siamo belli e quanto siamo bravi?
Buone feste a tutti!