Il Cittadino on line oggi, alle 16,09, ha pubblicato una lettera di un signore di nome Franco Tinelli che non conosciamo, ma che ci sembra di rilevante interesse. Ecco il link
https://www.ilcittadinoonline.it/lettere/overdose-di-supermercati-in-centro-a-siena/ .
Ci sembra utile pubblicarla tale e quale senza aggiungere commenti e lasciando questo compito a chiunque voglia intervenire
Continua inarrestabile, metodica, implacabile, l’opera di eliminazione dei piccoli negozi di vicinato di Siena, il gioiello del Medioevo famoso per il Palio e le Contrade. Nella centralissima via Montanini aprono due nuovi supermercati. Una sorta di occupazione “manu militari” di un’altra porzione di città, che avrà come effetto la chiusura dei negozietti storici. Prosegue un processo, in corso da anni, che ha visto a Siena l’apertura di un numero spropositato di supermercati. Prima sono sorti in periferia, dove si può arrivare in macchina. Ora l’invasione si è estesa anche al centro storico, chiuso alle auto. Si tratta dell’assalto alla città racchiusa dentro le mura. Una “espugnazione” che assume un sinistro valore simbolico. La presunta “modernità” uccide la storia, una storia fatta anche di botteghe centenarie, che si sono tramandate di generazione in generazione.
Il risultato è la “desertificazione” della città, destinata a diventare un guscio vuoto privo di quei presidi di vita, di socialità, di sicurezza che qualificano una comunità come quella senese, dove il senso di identità e la coesione sociale sono molto spiccati.
Tutto questo è lo scempio perpetrato da scelte politiche miopi, perseguite per decenni da una classe politica che ha sacrificato ai potentati economici – rappresentati dalla grande distribuzione – la sopravvivenza dei piccoli commercianti. Si tratta della progressiva cancellazione della classe media nell’indifferenza generale.
In questa difficile fase storica, in cui da più parti si denuncia l’acuirsi delle disuguaglianze sociali, si continua a premere sull’acceleratore che va in direzione contraria al necessario rimedio: anziché contenere gli appetiti dei potentati economici per redistribuire risorse a vantaggio dei soggetti più vulnerabili, si affossano i più deboli per dare profitti sempre più alti ai forti.
E’ ora di fermare questa deriva. E’ ora che tutti gli attori interessati a questo fenomeno di inarrestabile concentrazione della ricchezza in poche mani prendano coscienza dei danni fatti al tessuto sociale della città e comincino ad alzare la voce, a pretendere un’inversione di marcia: in primis, dovrebbero insorgere i piccoli commercianti con le loro organizzazioni, poi le associazioni che hanno a cuore la loro città, quindi i semplici cittadini che vogliono passeggiare in vie animate e pulsanti e non in strade silenziose e buie, costellate di saracinesche abbassate e vetrine oscurate.
Non si tratta di mobilitarsi per la “difesa dei bottegai”, come dicono coloro che banalizzano il problema, ma di difendere un prezioso patrimonio collettivo che costituisce l’anima della città.
Solo con una ribellione corale, popolare, si può indurre la classe politica a cambiare direzione, prima che sia troppo tardi.
Franco Tinelli
Caro Sig. Tinelli non ho il piacere di conoscerla, ma concordo pienamente con le Sue riflessioni.
Purtroppo non sono miopi solo le “dirigenze” , ma sono totalmente ciechi, sordi e muti la maggior parte dei cittadini senesi, magari gli stessi che pensano di sapere e conoscere tutto di tutti, ma non vedono oltre il proprio nasino.
Sono senese, non più giovanissima e, purtroppo, non vedrò mai la mia città rinascere. Posso solo constatare la mancanza di volontà dei senesi di “vedere”.
Piena ragione per Tinelli ma visto che non navigo nella moneta posso francamente dire che i prezzi delle botteghe non posso sostenerli..
Analisi più che condivisibili. Purtroppo questi processi hanno una lunga storia alle spalle coperta dall’idea , questa politicoculturale, delle città viste gia’ alla fine anni 90 come centri commerciali che potevano inserirsi con profitto nel nascente turismo di massa. Era il nuovo sol dell’Avvenire nonostante che già diversi studiosi mettessero in rilievo di come l’esplodere del turismo a livello di massa avrebbe portato notevoli conseguenze negative legate al consumo fisico e sociale delle comunità investite. Per l’Università di Siena mi ricordo, se non sbaglio, del prof. Nocifora. Queste voci e preoccupazioni non vennero ascoltate: negavano il benessere che altri ci vollero vedere.j
Tinelli ha ragione da vendere, la presenza di questi grandi magazzini nel Centro Storico è dovuto alla miopia dei nostri governanti che iniziarono andando a braccetto con la Conad di P. zza della Posta prima e poi in Via Romana, hanno ammazzato leteralmente i piccoli artigiani, le piccole botteghe, il tessuto che gli altri paesi ci hanno sempre invidiato, ricordiamoci che gli americani hanno superato la loro tremenda recessione proprio con l’aiuto dei nostri immigrati che hanno insegnato loro come fare i vestiti, come le scarpe, come cucinare e tutt’ora sono riconoscenti a noi. Cosa vengono a vedere i turisti a Siena : Prada, Benetton ecc..? Negozi che hanno anche loro o vengono illusi di poter trovare ancora qualche artigiano per scambiare due parole e per ammirare ciò che fanno ? Ricordiamoci che uno dei più fotografati era il lustrino e la sua bottega di Via Stalloreggi !
Grazie alla vostra cortesia, posso pubblicare un commento di tono opposto, assai opposto, sull’argomento. L’approccio proposto sulla questione dei supermercati è una parodia della realtà e della comune esperienza quotidiana e ne fa – naturalmente — una caricatura; questo è sempre un pessimo presupposto per affrontare seriamente i problemi. Infatti tutta l’impalcatura ideologica dell’articolo ha il grave difetto di risultare inservibile nell’affrontare, concretamente, un tema che innegabilmente esiste.
La mia opinione è che la soluzione non sta in un inverosimile arrocco dirigista-populista, ma — al contrario – nella accelerazione e raffinazione dei processi di apertura al mercato, stimolo alla concorrenza e innovazione; sarei tuttavia interessato ad ascoltare tesi differenti, a condizione che siano almeno un pò di questo Terra; richiamarsi al mondo fiabesco dei buoni di qua e dei malvagi di là è dannoso oltre che sbagliato: insegui i fantasmi, stancandoti senza costrutto.
Nel merito, il calo del numero di attività commerciali nei centri storici è un fenomeno che va avanti, in Italia, almeno dagli anni ‘80. Un’interessante analisi sul tema è stata pubblicata a febbraio dal Centro Studi Confcommercio, e ad essa rimando per chi volesse approfondire. In sintesi la ricerca indica che dal 2008 il numero dei negozi (commercio in sede fissa) nei centri storici delle 120 più importanti città italiane è diminuito dell’11,9 %, pari a circa 62 mila unità. In compenso, però, è cresciuto del 17 %, il numero delle attività di bar, ristoranti, alberghi e b&b. Se aggiungiamo la crescita del commercio ambulante (+ 8,7 %) si scopre che, in realtà, il commercio globalmente inteso nei centri storici ha retto assai bene, perdendo solo poco più dell’ 1%, nella più dura crisi economica italiana prima d’ora. Restando sul tema del commercio in sede fissa, si scoprono altre due cose molto interessanti: 1) Il calo dei negozi alimentari è stato appena dello 0,03 %, contro, per esempio, il 22,3 % dei negozi di mobili e ferramenta e del 13,8 % dei negozi di vestiario e calzature; 2) i fattori critici che portano alla cessazione di attività commerciali sono indicati, nell’ordine, in canoni di locazione troppo elevati, eccessivo carico fiscale, scarsi incentivi delle amministrazioni. E’ vero che l’indagine riguarda l’insieme dei centri storici italiani e non in modo esclusivo Siena, ma è altrettanto vero che quello di Siena è considerato uno dei più reattivi e positivi tra i centri storici esaminati.
Non pare quindi che ci sia una dimostrata correlazione tra apertura di supermercati e cessazione di negozi. Oltre al tema dei canoni e del fisco, sicuramente incide l’età media della popolazione residente in centro storico, che ovunque significa diminuzione del numero di negozi tradizionali, lo sviluppo a due cifre dell’e‑commerce, nonché la progressiva riduzione della capacità di spesa del consumatore, sia quello residente che quello occasionale. Infatti, non vi è una riduzione dei consumi in termini assoluti, ma uno spostamento dal negozio tradizionale alle superfici a libero servizio e, in parte, al commercio digitale che offrono entrambi prezzi inferiori.
Va fatto però un passo in più. La posizione un po’ da Terza Internazionale che esprime il vostro lettore sul tema commercio, ma che certamente è assai trasversale ben aldilà del credo politico, è spia, se non mi sbaglio, di una – diciamo — modesta capacità di cogliere il senso della crisi di Siena e, per estensione, dell’Italia. Decenni e decenni , se non secoli, di rendite di posizione appartengono al passato. Dureranno un altro po’, ma non torneranno. Cercare affannosamente, in una disperata coazione a ripetere, ambiti, occasioni, nicchie da cui ritrarre rendite significa solo, per la comunità, sprecare tempo ed energie sottraendole alla possibile creazione di valore. Tale valore proverrà esattamente dal mercato, dalla concorrenza, dalla competizione, e Siena dovrà, se vorrà, mettersi nelle condizioni di risultare attrattiva per capitali trasparenti ed imprese capaci; ne verrebbe ripagata da occupazione, crescita, sviluppo.
Il Sign . Tinelli fa una fotografia che da già molti anni è stata più volte denunciata !
Quando una città perde la sua socialità (rimane viva solo quella di Contrada ) diventa un museo all’aperto , siamo tutti connessi in rete ‚ma usciamo solo per consumare , ci aggrega ormai il solo mangia e bevi , se un marziano approdasse a Siena invierebbe alla astronave base questo messaggio “ gli umani passano il 70% del loro tempo a cibarsi “
Non siamo riusciti a gestire il Mercato ‚viceversa il Mercato ci impone La propria deleteria regola
“ Non si vende ciò che è buono ‚è invece buono ciò che vende “
Più che la retorica di una ” ribellione corale” sarebbe servita una attenzione maggiore all’ evoluzione del mercato e più coraggio.La crisi del tessile non è di ora,da tempo i negozi di via Montanini erano troppo numerosi e in gran parte con un’ offerta uniforme e non entusiasmante nella qualità. Tra i grandi marchi,con i negozi esclusivi,che la città non può permettersi,e il grigiore dell’ offerta,ci sarebbero la ricerca di alternative di buon gusto,di piccoli marchi,come mi sembra che akcuni negozi cerchino di fare.Ma la crisi del settore è reale.Non c’è solo via Montanini,mi fanno tristezza le vie laterali sempre più vuote.Mi permetto di dire che se al posto di un lussuoso negozio di abbigliamento,dove entrai per l’ ultima volta a diciotto anni per comprare una camicetta,ora vado con divertimento a cercare un rossetto o uno shampoo,non piango sul passato.In quanto al PAM nel vecchio e abbandonato vasto spazio del garage,non sarebbe stato possibile qualcosa di simile a un mercato coperto gestito dai commercianti locali? Dei PAM di quel tipo non condivido l’ eccessivo uso di merce impacchettate,con troppa plastica.Su questo si può ragionare anche per altri negozi.