Il 19 agosto 2020 il Blog ospitava un intervento di Andrea Bilotti, allora ricercatore all’Università di Siena e Giudice minorile onorario, oggi all’Università degli studi Roma Tre, frutto del suo lavoro di studioso, che potete recuperare qui integralmente
Quando gli episodi denunciano il disagio giovanile. Un intervento contro la repressione.
Oggi Pierluigi Piccini riflette nel suo Blog e dalla visione responsabile di esponente di minoranza del massimo organo rappresentativo cittadino, sui medesimi temi e con queste parole che riprendiamo e rilanciamo alla generale attenzione e al dibattito
La città è profondamente diversa da come viene rappresentata: la retorica, l’ideologizzazione e il narcisismo non permettono di vedere i reali cambiamenti a cui è soggetta. Mi si dirà: come avviene in tutte le città italiane. Si, può essere, ma noi viviamo qui ed ora e a noi spetta rappresentare la realtà per quello che effettivamente è. La retorica di cui si abbonda serve a mascherare le contraddizioni, i problemi, per questo userò un termine obsoleto, ma ancora efficace: le differenze sociali, una volta si sarebbe detto di classe. Sì perché nei momenti di crisi le differenze appaiono più chiaramente. Come consiglieri comunali abbiamo fatto un lungo lavoro in commissione, incontrando gli operatori istituzionali e meno, i rappresentanti delle contrade su un argomento classico: il disagio giovanile. La fotografia che ci hanno rappresentato è decisamente allarmante.
Ancora una volta, la risposta che dà il welfare ai nuovi problemi è quella tradizionale, quindi insufficiente, tranne gli sforzi di qualcuno e la buona volontà di alcuni operatori. Il sistema è rigido e le domande molto più complesse. Se poi dovessimo focalizzare l’attenzione sul mondo scolastico e adolescenziale il quadro diventerebbe ancora più preciso e molto più chiaro. La Scuola è diventata sempre più socialmente selettiva, in una realtà che oscilla tra il circolo chiuso e una apertura piena di contrasti.
Non esiste una politica dell’immigrazione, ad esempio. Per non parlare del lavoro che a Siena, come buona in parte del mondo occidentale, che alterna precariato e smart working senza che nessun organo intermedio riesca a ricomporre, o a tentare di ricomporre, le fratture sociali.
Quella senese è una economia appiattita sui servizi, legati quasi sempre alla ristorazione o all’accoglienza. Queste attività, spesso, non sono coperte neppure da risorse locali e caratterizzate dal precariato.
Mi fermo qui, ma potrei continuare e affrontare ad esempio il capitolo beni culturali e la rappresentazione che la città offre di se stessa nelle politiche culturali, ammesso che ci siano.
Le ultime battute sull’affresco del Buongoverno ne sono una prova molto chiara giocata, almeno dal Comune, sul piano della retorica. Il metodo imperante è la sbrigativa semplificazione della complessità.
Concludo dicendo che non ci potrà essere nessun tipo di rilancio della nostra comunità se non si prende coscienza di ciò che sta accadendo, se non si trovano risposte anche inizialmente parziali ai cambiamenti. Certo la retorica, il narcisismo sono comode modalità per nascondere le contraddizioni. E se queste vengono portate su un piano ideologico, tutto diventa apparentemente più semplice e tranquillizzante.