Il 23 giugno 2022 è stata emessa anche a Siena l’Ordinanza Sindacale n.48 contenente il divieto di utilizzo dell’acqua dell’acquedotto da scopi diversi da quelli igienico-domestici.
Per questo credo utile rispolverare gli appunti scritti alcuni anni fa, dopo l’estate 2017, caldissima, dannosa per l’agricoltura, risorse idriche nazionali al lumicino; questo è un dato di fatto e non è un caso sporadico in quanto queste situazioni si stanno ripetendo in maniera preoccupante, seppur alternate a periodi più vicini alle medie stagionali.
Protestare quando il rubinetto rimane a secco è un comportamento miope e fatale . Miope poiché incapace di guardare alla storia climatica recente e pensare ad un (logico) futuro, fatale perché la crisi idrica può determinare effetti sulla popolazione umana (diretti ed indiretti) davvero pericolosi. Non ci vuole molto a capire che il rischio è il vedersi ripresentare stagioni aride e crisi idriche, così come banale il decidere di prevenire il pericolo e mitigarne gli effetti. Più difficile è, chiaramente, operare efficacemente.
Nella globale incapacità di opporsi alle cause del “cambiamento globale” (chiamarlo semplicemente “riscaldamento” è fuorviante e riduttivo) legata agli enormi interessi controllati dalle multinazionali ed alla inconcludenza dei governi a trovare una convergenza di intenti (e di azioni), credo sia virtuoso come minimo lavorare per la prevenzione e la mitigazione degli effetti.
Le idee, spesso l’uovo di colombo, le sintetizzerei come segue:
1. PROTEGGERE gli acquiferi e le acque superficiali (l’acqua inquinata è inutile)
2. RIQUALIFICARE il sistema di distribuzione (il 35% dell’acqua degli acquedotti viene — in media — dispersa, Siena ha dei valori tra il 15 ed il 20%)
3. SENSIBILIZZARE all’uso dell’acqua (evitare utilizzi inutili, sprechi, applicare sistemi alternativi ecc.)
4. OBBLIGARE, con norme urbanistiche di carattere vincolante, alla realizzazione di sistemi di raccolta delle acque piovane da utilizzare in applicazioni secondarie (WC, irrigazione giardinetti ecc.) nelle nuove costruzioni
5. PROMUOVERE, tramite incentivazione economica, fiscale o quant’altro, la realizzazione di sistemi di raccolta delle acque piovane da utilizzare in applicazioni secondarie (WC, irrigazione giardinetti ecc.) nel costruito
6. COSTRUIRE nuovi invasi sia ad uso idropotabile che ad uso irriguo
7. REALIZZARE nuovi sistemi di captazione (pozzi) tali da diversificare tra diverse falde il pompaggio ed evitare di deprimere le falde sotto il punto critico della curva caratteristica (è così chiamato il punto di flesso della curva caratteristica del pozzo e definisce il limite massimo di sfruttamento consigliabile per il pozzo allo scopo di evitare il suo danneggiamento), interventi finalizzati a una gestione razionale e alla conservazione delle risorse idriche
8. CONSIDERARE la modifica, lenta ma consapevole, delle nostre abitudini, in modo da abbassare la cosiddetta “impronta idrica”. Alimentazione, usi quotidiani, abbigliamento, tutto ha un’impronta idrica. Ad esempio produrre 1kg di carne di manzo “costa” 16.000 litri d’acqua ed 1kg di carne di pollo 4.000. Istruttivo fare un giro su questa pagina http://aquapath-project.eu/calculator-it/calculator.html per capire quanto è la propria “impronta idrica”, tenendo presente che il valore procapite italiano è superiore a 6.000 litri/giorno.
L’estate si annuncia rovente ed asciutta ed affrontarla non sarà banale. Il “cambiamento globale” sopra menzionato sta determinando un articolato sistema di mutazioni nel quadro globale tali che l’area mediterranea sta acquisendo, neppure troppo lentamente, i parametri di clima tropicale.
Il che significa che, da adesso in poi, dovremo aspettarci precipitazioni brevi ma molto intense, tormenti all’agricoltura (ancora!) e tutto quel set di danni da dissesto idrogeologico. E, per ironia della sorte, l’intensità delle precipitazioni in un tempo ridotto porterà le grandi precipitazioni a rimanere “acqua di superficie”, non riuscendo pertanto a infiltrarsi e ricaricare le falde se non per quantitativi davvero insufficienti.
Insomma, tanta acqua, rapidamente, che fa danno ma che non rimane nelle riserve se non minimamente. Un doppio problema senza una reale soluzione definitiva ma mitigabile con tante, piccole, accortezze. Nuovamente l’uovo di colombo.
Ad esempio:
A. REALIZZAZIONE di accorgimenti a monte che diminuiscano la velocità di deflusso (le pianure si proteggono sulle montagne – o sulle colline!)
B. PROMOZIONE dei piccoli (ma diffusissimi) interventi di manutenzione del reticolo idrografico, a partire dalla fossetta di raccolta del contadino (la più importante opera di difesa idraulica mai realizzata)
C. ATTUAZIONE di interventi di ingegneria naturalistica, di basso impatto ambientale ma, se realmente diffusi, di elevatissima tutela del territorio
D. COSTRUZIONE di sistemi di difesa idraulica (argini, golene di espansione idraulica ecc.) ove necessario
E. ABBATTIMENTO e sostituzione degli alberi a rischio
F. BONIFICA delle più pericolose aree a rischio frana, sia naturali che antropiche
A mio avviso ogni realtà territoriale (comune o, meglio ancora, ambiti di più comuni) dovrebbero dotarsi di un PIANO DI MITIGAZIONE DEL RISCHIO IDROGEOLOGICO E SICCITOSO - Pi.Mi.R.I.S., contenente tutti gli accorgimenti, i comportamenti, le prescrizioni e le indicazioni affinché l’emergenza acqua, sia quando carente sia quando in eccesso, venga minimizzato.
Il Pi.Mi.R.I.S. non è un’utopia, ma è una necessità irrinunciabile, è un elemento di lungimiranza (oggi) che pone le migliori condizioni di vita (domani), da attuare il prima possibile e non quando sarà troppo tardi. E da finanziare, nello studio e nella realizzazione, non solo da interventi pubblici, ma anche da parte di quei soggetti produttivi che marginalizzano il danno (banalizzando: producono reddito generando più o meno volontariamente un danno), come una sorta di imposta pigouviana.
Un sistema di prevenzione, con scadenza 20 o 30ennale, comporterebbe una diminuzione dei danni economici di un ordine di grandezza (10 volte!), per non parlare dei termini di vite umane. E sicuramente rappresenterebbe un volano virtuoso, anche a livello locale, per un apporto al rilancio delle attività economiche di settore.
Vorremmo, insomma, un governo del territorio condotto con mentalità e comportamenti previdenti, avveduti e ragionevoli. Una formica, non una cicala. Un buon padre di famiglia, non uno scialacquatore disaccorto.
Francesco Fasano
Ottimo, bisognerebbe che in tutte le scuole si tenessero lezioni su questo argomento sin dalle elementari oltre che cercare di mettere d’ accordo tutte le nazioni in uno sforzo comune
I miei studenti del corso Costruzioni Ambiente Territorio hanno l’occasione di studiarle, anche con docenti rompis…ehm…appassionati! 😅
Molto interessante e ben articolato in tutti i suoi aspetti. Spero che in Italia ci siano esperienze amministrative virtuose da mettere in Rete. Esiste presso il ministero dell’Ambiente un settore scientifico sulla questione idrica? E a livello delle regioni? Sono d’accordo di farne un pezzo rilevante di una cultura civica di tutela del territorio.
Si, è ISPRA https://www.isprambiente.gov.it ma fa più statistiche e report che atti di indirizzo e divulgazione di buone pratiche.
Ho letto con grande piacere l’articolo in quanto mi sono trovato a condividere tutti gli accorgimenti e le idee per non “perdere acqua”. Mi soffermo però su un punto che mi interessa particolarmente, e non perché sia sbagliato, anzi, ma solo perché mi piacerebbe approfondirlo.
Si tratta del punto: A. REALIZZAZIONE di accorgimenti a monte che diminuiscano la velocità di deflusso (le pianure si proteggono sulle montagne – o sulle colline!).
Ecco, per gran parte della mia vita ho osservato e studiato la vegetazione riparia (quella che cresce a fianco dei corsi d’acqua e anche all’interno di essi, formata da pioppi, salici, ontani, canneti e altra vegetazione erbacea che vive nelle sponde) e purtroppo negli ultimi anni, ho assistito a tagli indiscriminati a suo carico.
Alcuni interventi sono statti fatti anche nel pieno della stagione riproduttiva degli animali (uccelli, rettili e piccoli mammiferi). Non si è pensato nemmeno che l’asportazione della vegetazione possa avere una ricaduta sulla vita dei microrganismi e di libellule, farfalle ecc… Tutto questo porta a una distruzione dell’habitat, dei corridoi ecologici e quindi di un danno alla biodiversità, che durerà nel tempo.
Ma una cosa importante, che spesso sfugge anche ai più “esperti”, è che a differenza di quanto si possa credere, la “ripulitura” dei corsi d’acqua (e soprattutto dei fossi, dei torrenti e dei fiumi che mantengono ancora una alveo naturale), favorisce il deflusso e la velocità della corrente, impendendo è vero eventuali allagamenti nella zona interessata, ma aumentando il rischio di esondazione a valle. In pratica, il rischio è solo spostato in pianura, perché nei luoghi dove l’acqua sarebbe arrivata in un giorno, arriverà, invece, in poche ore. E quello che soprattutto accadrà, e che avremmo perso acqua. Sì, togliendo alberi, arbusti ed erbe a fianco dei boschi, perdiamo acqua, perché gli apparati radicali, i fusti e le foglie, creano una forza meccanica che si oppone alla corrente, le piante stesse immagazzinano acqua e la loro ombra riduce l’evaporazione dal terreno e dell’alveo fluviale, non dimenticando la funzione dell’humus e della lettiera che assorbono l’acqua come una spugna, e quindi portano sia a un rallentamento dei deflussi che a una maggiore conservazione dell’acqua. In dettaglio, durante gli eventi alluvionali il bosco ripario svolge l’importante funzione di rallentare l’ondata di piena e di ritardare il raggiungimento del suo massimo, fungendo da bacino di espansione; pertanto, esso può divenire un serbatoio per lo stoccaggio delle acque, trattenendone ingenti quantità e rilasciandole gradualmente in un secondo tempo, durante la fase di abbassamento del livello di piena. Quindi, la riduzione del rischio idraulico che prescrive il controllo della vegetazione, dovrebbe essere effettuato dietro dimostrata necessità, con tagli selettivi e rispettosi dell’ambiente e limitatamente a quella vegetazione che risulti a rischio di “vera ostruzione” durante le piene.
A chi possa interessare trascrivo di seguito un documento di Italia Nostra, che doveva essere propedeutico a iniziative più concrete, a partire dalla creazione di un Comitato ad hoc. Il tutto sospeso in attesa che la pandemia declinasse, ma alla fine anche a causa di problemi interni all’Associazione.
ITALIA NOSTRA — Sezione di Siena
Via dei Cappuccini 21, 53100 Siena
Tel. 0577.286847 cell.: 320.2342981
siena@italianostra.org
italianostrasiena@pec.it
Siena, 12.8.2019
CONSORZI DI BONIFICA OBBLIGATORI
1. Un po’ di storia
Pensiamo che non si possa fare a meno di ricordare che i Consorzi di bonifica furono un’iniziativa privata, spontanea e volontaria di proprietari interessati alla regimazione di corsi o specchi d’acqua potenzialmente dannosi per i loro terreni e costruzioni. E’ col Regio decreto 125 del 1933 che il Governo interviene rendendo obbligatoria l’adesione di quei proprietari a quei consorzi. Il successivo regime repubblicano e democratico invece di abolire quel regio decreto, si limitò a lasciare le cose come stavano. Anzi fece peggio: legiferò (Legge Regionale Toscana n. 79/2012) che non solo i proprietari dei beni immobili contigui a quelle acque fossero “obbligati”, ma addirittura fosse “obbligato” anche ogni altro soggetto, ancorché proprietario di un minimo immobile fondiario o edilizio nel territorio della Regione, minacciato o meno che fosse da corsi d’acqua o da impaludamenti.
Col tempo, poi, e con burocratica ipocrisia, si è cancellato dalla ragione sociale del consorzio l’aggettivo “obbligatorio”, lasciando però intatta l’obbligatorietà per il pagamento di quella che, più che una tassa, sembra un balzello o una gabella medievale. E tutto ciò senza la benché minima preoccupazione di violare così la nostra Carta costituzionale nata dalla Resistenza, che agli art. 17 e 18 assicura ai cittadini la libertà di associazione, con ciò sottintendendo, pare ovvio, anche la libertà dei suddetti cittadini a non associarsi o ad uscire da qualsivoglia associazione.
Ma anche la potestà di legiferare a proposito dei Consorzi di bonifica da parte della Regione Toscana appare in contrasto col dettato costituzionale (art.117/s) che assegna specificatamente allo Stato la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. E non è finita qui, perché anche l’art. 53 della Costituzione (il sistema tributario è informato a criteri di progressività) potrebbe non essere stato rispettato.
Per concludere: coloro che sono obbligati al pagamento della gabella, ossia che sono obbligati a consorziarsi, sono la quasi totalità delle famiglie e delle società della regione, visto che già da sole le famiglie proprietarie della “prima casa” dovrebbero aggirarsi sul 90% della popolazione, a cui vanno aggiunti quelli che sono proprietari di altri appartamenti, negozi, uffici, terreni ecc. E ciò ovviamente anche se il campo o la costruzione sono collocati sul cocuzzolo di una montagna, assolutamente al riparo da ogni rischio di inondazione e/o impaludamento del territorio. Il tutto comunque appare come avvolto nel mistero, nonostante l’usuale sovrabbondanza di leggi, regolamenti e statuti.
Nella sostanza la cosa si è concretizzata in una sorta di trabocchetto per i contribuenti: la Regione potrebbe avere imposto in maniera surrettizia una vera e propria tassa patrimoniale mascherandola da quota associativa al Consorzio, forse aggirando così anche la normativa nazionale. Ma che governo è quello che tende trappole ai propri governati?
2. I Consorzi diventano “operosi”
Ciò premesso, va detto che fino a poco tempo fa la maggioranza di quei proprietari ignorava a cosa in realtà servissero quei Consorzi (veramente se ne ignorava anche l’esistenza) e che fine facessero quei soldi che erano obbligati a versare. Non è che le cose ora siano molto cambiate, ma da qualche mese, forse da un anno o più a questa parte, quasi alla chetichella, i Consorzi, almeno in Toscana o almeno quello “6 Toscana sud”, improvvisamente si sono messi a lavorare in maniera parecchio ma parecchio vistosa, tra lo sconcerto di chi ha avuto occasione di vedere per caso quei “lavori”.
Nel frattempo però qualcuno (p.es. il Coordinamento per la Difesa dei Fiumi Naturali in Terre di Siena) ha cominciato a lamentarsi, sia per la “qualità” dei lavori, sia per il fatto che per siffatti “lavori” si dovesse anche pagare una tassa. Allora i Consorzi, o chi per essi, hanno finalmente cominciato a spiegare quale fosse la loro insostituibile funzione pubblica. Particolarmente impegnato proprio il Consorzio che si occupa di un’area, come quella senese, famosa per la quasi totale assenza di fenomeni alluvionali o di impaludamento. Con una serie di arrampicate sugli specchi (vedi qui) questo Consorzio spiega perché tutti i proprietari senesi siano “obbligati”, nonostante che il nostro territorio sia un arido sperone di tufo senza acque superficiali, tanto che perfino Dante, e la cosa ci brucia ancora, derise le vane ricerche di acque sotterranee dei Senesi. Insomma paga anche chi possieda un bugigattolo in cima al sommo colle senese che si chiama Castelvecchio, il quale, per sua natura, è totalmente esente da qualsiasi forma di inondazione o stagnazione d’acque da centinaia di millenni a questa parte. Sempre il Consorzio ci spiega anche che i corsi d’acqua di Siena “nel frattempo versavano in stato di abbandono”. E alla disarmante osservazione “ma se i corsi d’acqua a Siena non ci sono!” il Consorzio risponde: “…proprio il comune di Siena è interessato da più fossi e torrenti che hanno assolutamente necessità di una costante e continua manutenzione ordinaria [sic! neanche fossero bus cittadini!] che per altro abbiamo già cominciato, come il Torrente Arbia, il Fosso Val di Tufi, il Fosso Ravacciano, il Fosso Paradiso, il Fosso della Voltina, il Torrente Bozzone e il Fosso di Tongori”. Nomi quasi tutti sconosciuti ai più, e sconosciuti proprio perché si tratta soprattutto di fossi che non hanno mai arrecato danni al territorio del comune, ma che, ciononostante, hanno “assolutamente necessità di una costante e continua manutenzione ordinaria”! Ogni commento è superfluo.
3. Ma entriamo nel merito.
Da quello che possiamo vedere, per “costante e continua manutenzione ordinaria” s’intende l’estirpazione lungo ambedue le sponde dei corsi d’acqua, e per fasce larghe qualche decina di metri, di ogni essenza vegetale di alto e basso fusto, macchia compresa, talvolta denudando il terreno anche della copertura erbacea e lasciando in piedi, ma non sempre, qualche giovane e isolata pianta di alto fusto (vedi allegati 1, 2 e 3).
Obiettivo dichiarato è quello di eliminare ogni ostacolo che si opponga al fluire delle acque, soprattutto in caso di piena. E ciò senza una minima riflessione sul fatto che così, senza più quella protezione vegetale, si aumenta la portata e la velocità delle acque, ossia la loro capacità di erodere le sponde, per giunta rese meno compatte sia dalla distruzione della copertura vegetale sia dal maggiore dilavamento della pioggia, non più smorzata dal filtro della vegetazione. Di più (ma il discorso sarebbe lungo): quella vegetazione tranciata via assorbiva CO2 mentre produceva ossigeno. Ora verrà bruciata, immaginiamo, rimettendo in circolo quella CO2 che aveva assorbito per crescere. Quanto a coerenza non c’è davvero male. Oltre tutto la copertura vegetale contribuisce alla riduzione della temperatura e al contenimento dell’evaporazione sia dal suolo che dal corso d’acqua con beneficio del livello della falda freatica.
E questo senza voler contare il danno arrecato alla fauna (anche a quella acquatica, vista la nonchalance con cui pesanti cingolati hanno operato direttamente nell’alveo del corso d’acqua. Ma il risultato finale è che in caso di temporale le acque dell’intero bacino imbrifero arriveranno prima e tutte insieme a valle con una “piena” rovinosa che sarà più o meno doppia rispetto alla situazione preesistente a quella “manutenzione”. Insomma spendere denari (dei contribuenti) con i lavori a monte, affinché a valle se ne possano spendere di più per rimediare all’aumentata capacità distruttiva delle acque.
Ogni commento è superfluo, come abbiamo già detto. Anzi manca ancora un dettaglio. Quei corsi d’acqua, così “manutenuti”, hanno ora l’aspetto di fogne a cielo aperto, con tanti saluti all’eccellenza di quel paesaggio che a chiacchiere tutti vorrebbero vedere conservata (anche perché da alcuni decenni il turismo è diventato il comparto economico più importante del pianeta, avendo superato per fatturato e numero degli addetti ogni altra attività umana).
4. Le “ciliegine sulla torta”
Prima ciliegina: le sponde dei corsi d’acqua, denudate della protezione vegetale, hanno già cominciato a smottare (vedi allegati 4*, 5 e 6), per cui si ricorre ad opere di rafforzamento con cemento e blocchi di pietra (vedi allegati 7, 8* e 9). Il costo di questa operazione è ovviamente a carico del Consorzio, ossia del contribuente (che, sia chiaro, non ha alcuna voce in capitolo: paga e con ciò è servito). Ora bisogna che sia chiara una cosa: se le sponde dei corsi d’acqua smottano per colpa della pseudo-manutenzione (denudamento del suolo) male condotta, il relativo costo per rimediare deve essere addebitato non al Consorzio che gestisce denaro pubblico (ossia dei cittadini), ma personalmente alla sua dirigenza, se è lei che ha passato alla ditta appaltatrice le istruzioni sbagliate, o alla ditta appaltatrice stessa se è lei che ha male eseguito quelle istruzioni. Sarebbe il colmo, e la cosa potrebbe avere rilevanza giudiziaria, che per rimediare a questa distruzione di patrimonio paesaggistico e ambientale già finanziata con denaro pubblico, ossia con i soldi dei contribuenti, si ricorresse nuovamente a quella vacca da mungere che per politici e burocrati sono i cittadini italiani, già i più tassati dell’intero Occidente.
Ulteriore ciliegina: da non credere, mentre il Consorzio da una parte sostiene che la desertificazione e l’indebolimento delle sponde riparie si rendono necessari per aumentare la velocità di scorrimento delle acque ed evitare quindi l’esondazione delle acque stesse, in altri casi e sullo stesso territorio ha sostenuto l’opposto, ossia che si dovesse ridurre la velocità delle acque con devastanti briglie di cemento e pietra, come nel caso dei torrenti Crevole e Crevolicchio, impresa fortunatamente bloccata dall’azione della società civile. Sembra che l’importante sia farsi vedere occupati a fare qualcosa, come la famosa “ammuina” sulle navi da guerra borboniche, al fine di giustificare la propria esistenza.
5. Ultima considerazione
L’alzata di scudi di semplici cittadini (ce ne sono che hanno costituito anche associazioni ad hoc), e soprattutto di tutte le associazioni ambientaliste, contro l’operato del Consorzio di bonifica, è generalizzata. Non risultano commenti favorevoli da parte di chicchessia, anzi c’è stata addirittura una dura denuncia dell’operato dei Consorzi da parte dell’ARPAT — Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (°). Quindi le piccate giustificazioni istituzionali sia dei Consorzi, sia in prima persona addirittura del governatore Rossi, dopo ben 70 anni di regime repubblicano e democratico, hanno un inquietante sapore di dispotismo contra populum.
*I due allegati 4 e 8 si riferiscono allo stesso sito e sono emblematici di una prassi a cui troppo spesso e in diverse occasioni si è dovuto fare ricorso. Il primo allegato riguarda lo smottamento dopo la “cura” del Consorzio di bonifica e il secondo la “toppa” che, sempre il Consorzio, ha dovuto metterci.
(°) Vedi ARPAT — Monitoraggio ambientale dei corpi idrici superficiali: fiumi, laghi, acque di transizione — Stagione 2018 (dalla pag.12 alla 14 inclusa).
Grazie dell’articolo. Immagino anche che oltre alla tassa, anche il legname avrà creato un guadagno. Chi prende i soldi? La ditta che ha tagliato? La Regione? Questo è un argomento molto scivoloso.
Concordo con Marco, sarebbe molto interessante fare chiarezza sull’argomento. La manutenzione dei corsi d’acqua è importante ma il “taglio raso” raramente è la soluzione. Bisognerebbe operare con equilibrio e moderazione, scelte a carico della Regione e dei suoi consorzi.