La redazione e presentazione di un “curriculum vitae” (dal latino currere: correre) sono entrate nell’uso quotidiano non solo, come era in origine, per illustrare il proprio corso di studi o per documentare le proprie esperienze formative o le competenze acquisite o le pregresse attività lavorative, ma anche perché, a partire dal 2009, la legge ha imposto agli amministratori la pubblicazione del loro curriculum.
Lo scopo è evidente: si tratta di un obbligo di trasparenza nei confronti dei cittadini.
Nel 2002, Europass, l’agenzia europea incaricata di rendere omogenei i documenti che circolano nei vari paesi europei, ha varato un format curriculare unico, ottimo sotto il profilo della chiarezza, auspicandone l’adozione in tutti i paesi dell’UE, ma la nostra legge non stabilisce come debbono essere redatti questi che potremmo chiamare i “ritratti” di chi ci governa.
Siccome di trasparenza ci occupiamo, abbiamo dato una scorsa a quelli del Sindaco e della Giunta. In primo luogo, nella redazione dei vari documenti, c’è un’enorme variabilità, sia nella forma che nella sostanza. Si va da quelli compresi in appena 7 righe, con dati decisamente stringati (forse anche perché non c’era molto da scrivere), a casi (uno solo in verità), ben
compilati, in formato europeo, dettagliati sotto ogni aspetto.
Ma quello che colpisce è la sostanza: in qualche caso sono stati scritti in maniera davvero poco accurata, come per togliersi un fastidio, senza riportare nemmeno i dati essenziali quali data e luogo di nascita.
Altre volte vi sono riportati elementi curiosi: sappiamo che il sindaco parla bene il dialetto piemontese e conosciamo l’indirizzo del suo studio professionale, ma non quello di residenza; sappiamo anche che un figlio del neo-assessore Benini (il cui curriculum non è ancora inserito tra quelli degli assessori) eccelle in uno sport (non è precisato quale), in
cui è addirittura 44° su 1000 in una classifica mondiale (olio che cola per un assessore allo sport) e che la sua signora è anch’essa medico. Per carità, niente di male: si parla semmai di opportunità.
L’impressione, in qualche caso, è che si tratti di curriculum redatti in precedenza, digitalizzati in fretta e furia e allegati alla documentazione obbligatoria, senza neppure essere stati riletti per eliminare errori di scrittura.
Il caso dell’Assessore Benini richiede poi un approfondimento: sull’Anagrafe della Ricerca, consultabile sul sito web dell’Università di Siena, le sue dichiarate 45 pubblicazioni non sono state inserite , fatto quanto meno insolito. Inoltre, la sua delega “all’Università”, come già sottolineato in un precedente articolo di questo Blog, oltre che poco corretta sotto il profilo della definizione, sembra in conflitto con il ruolo di professore aggregato tuttora svolto dal suddetto nella stessa istituzione,
e pertanto da questa dipendente.
Cosa dire? I cittadini meriterebbero più rispetto: redigere un curriculum in formato europeo, inserendo le informazioni utili a comprendere meglio la figura di ciascun amministratore, sarebbe il minimo da pretendere da chi esercita una così importante funzione pubblica.
Certo che potrebbe andare anche peggio, come quando ad un aspirante ricercatore del nostro ateneo fu richiesto da parte degli uffici di presentare un C.V. e lui si meravigliò assai, chiedendo candidamente a cosa potesse servire il deposito di dati sul suo “campo visivo”.